Grazie agli albi illustrati – i suoi e quelli che pubblica come editrice de Lo Stampatello – finalmente anche in Italia si è animato il dibattito su stereotipi di genere, nuove realtà familiari, omosessualità e omogenitorialità da raccontare anche attraverso l’editoria per l’infanzia. A Francesca Pardi abbiamo fatto qualche domanda sul suo UNA MAMMA e basta, e lei ci ha regalato una bella riflessione sulla responsabilità educativa e sul senso della famiglia. Grazie Francesca!
QUAL È LA PRIMA COSA CHE TI VIENE IN MENTE PENSANDO A QUESTO LIBRO?
Come tutti gli albi della collana “Piccola storia di una famiglia”, il racconto è ispirato ad un’esperienza reale, che in questo caso è quella di mia figlia: mi ricordo di lei che è tornata a casa raccontandomi dell’assurdo compito che le aveva dato l’insegnante, di quanto ci tenesse a fare quel compito come gli altri, in quella scuola che rappresentava la sua nuova socialità. Mia figlia, avendo due mamme, ha trovato una soluzione diversa da Camilla (sempre molto più adulta di quella che avremmo saputo trovare noi!), ma questo episodio di vita vissuta mi è sembrato emblematico molto più di una storia che avrei potuto inventare, e ci ho costruito un racconto che parla di un altro tipo di famiglia, quella monogenitoriale.
CAMILLA È UNA BAMBINA SOLARE, SERENA, I SUOI COMPAGNI SANNO CHE NELLA SUA VITA NON C’È NESSUN PAPÀ, NESSUNO LA PRENDE IN GIRO… SECONDO TE LEGGENDO IL LIBRO QUALCUNO POTREBBE DIRE: “VABBÈ, MA QUANTE STORIE PER UN TEMA IN CLASSE!”?
Forse sì, ma solo perché non si riflette abbastanza sull’impatto che il compito può avere su un bambino e su quanta responsabilità ha chi glielo sottopone. Un bambino non ha la forza di sottrarsi, non dirà all’insegnante “non lo faccio” (se non come provocazione), è in una situazione di “non potere”, acquisterà autonomia proporzionalmente a quanto riuscirà a sostenere quella situazione in modo costruttivo, e questo dipenderà molto dagli adulti che lo accompagneranno.
E SE TI DICESSIMO CHE IL LIBRO CI SEMBRA UNA “BACCHETTATA SULLE MANI” DEGLI INSEGNANTI?
Vi direi che in effetti è così. L’assurdità che ho voluto sottolineare non era quella del compito in sé “Disegna il tuo papà” – la supplente poteva non sapere nulla della famiglia di Camilla – ma del successivo “Disegna il papà che vorresti avere”: invece di cercare una soluzione costruttiva alla sua disattenzione, l’insegnante ha cercato di scagionare se stessa caricando un peso sulla bambina, quello di una mancanza che in realtà lei non sentiva affatto. Ha dato per scontato che la piccola sicuramente avrebbe voluto avere un papà, che ci fosse un vuoto nella sua vita, costringendola a confrontarsi con una difficoltà inesistente e a domandarsi se invece dovesse esistere.
CHE DIFFERENZA TI IMMAGINI CI SIA TRA LA LETTURA DEL LIBRO IN FAMIGLIA E IN CLASSE?
Sicuramente è una storia che si presta alla lettura in classe: c’è una tensione che sale, con Camilla che si mette alla prova e trova una soluzione finale che soddisfa la legittimazione del suo vissuto. Per le insegnanti capaci – e ce ne sono davvero tante – il libro può essere lo spunto per lavorare sullo spazio alle differenze e sulla capacità di stare insieme: in poche parole, sull’aspetto educativo e pedagogico dell’insegnamento, aspetto purtroppo spesso trascurato a vantaggio della mera trasmissione didattica delle nozioni. La scuola, soprattutto quella elementare, è fondamentale per la costruzione di certi valori, ma ad oggi troppi docenti evitano di sostenere il peso educativo del loro ruolo e non si prendono la responsabilità di toccare con i bambini certi argomenti.
NELLA STORIA NON C’È UN PAPÀ, MA NON CI SONO NEANCHE ALTRE FIGURE ADULTE A RAPPRESENTARE PUNTI DI RIFERIMENTO AFFETTIVO IMPORTANTI: È UNA SCELTA VOLUTA?
Sì. Volevo fosse chiaro che in questa storia la figura genitoriale, intesa come quella che si fa carico di tutte le responsabilità, è una sola. Ci sono tante altre figure affettive da cui un bambino può ricevere mille altre cose che gli serviranno nella vita, ma un genitore è un genitore, e nella vita di Camilla c’è solo la mamma. Volevo far riflettere sull’idea precostituita di famiglia che ancora permea fortemente la nostra società: è sempre sottinteso che, laddove non ci sia, l’altro genitore dovrebbe esserci, e se non c’è i figli devono sentirne la mancanza. Vero è se parliamo di una separazione, un abbandono, un lutto, ma si arriva al paradosso, come nel caso della mia famiglia, in cui ancora mi viene detto che il papà è il seme del donatore… Ma assolutamente no! Per pigrizia, per disinteresse, per ideologia, la famiglia viene schiacciata dentro pericolosi stereotipi, e i bambini come Camilla si trovano costretti a vivere un doloroso scollamento tra il loro vissuto e quello che gli altri dicono dovrebbe essere la loro realtà.
L’ULTIMA DOMANDA NON È PER LA SCRITTRICE MA PER L’EDITRICE. LO STAMPATELLO È NATA NEL 2012 PER COLMARE UN VUOTO NELL’EDITORIA PER RAGAZZI IN ITALIA: IN QUESTI QUATTRO ANNI TI SEMBRA SIA CAMBIATO QUALCOSA? CI FAI UN PICCOLO BILANCIO?
Sicuramente la pubblicazione dei nostri libri ha scatenato un dibattito molto acceso, e abbiamo visto nascere molte collane dedicate agli stereotipi di genere (mentre sul tema dell’omosessualità c’è ancora molta cautela). Purtroppo nel nostro Paese ci sono grossi ostacoli alla promozione del confronto su certi argomenti, dovuti principalmente all’opposizione di poteri forti, come quello ecclesiastico, che operano con mezzi di condizionamento molto incisivi e persuasivi. Nel resto d’Europa case editrici come la nostra ricevono sovvenzioni statali per il loro impegno nella cultura della socialità, mentre in Italia funziona al contrario: il mercato ti sostiene solo quando il cambiamento culturale è già avvenuto. Per questo fatichiamo ancora a radicarci sul territorio, e per la stampa degli ultimi titoli in programma abbiamo lanciato una campagna di sostegno che speriamo ci aiuti a pubblicarli (https://www.produzionidalbasso.com/project/la-carta-dei-diritti-delle-mamme-e-dei-papa/).