“Spero, vorrei tanto che questa catena di amore passi di mano in mano, di generazione in generazione senza fermarsi mai. Perché vivere è bellissimo e saperlo lo rende ancora più speciale.” Lo scrive l’autrice e illustratrice Barbara Vagnozzi, che abbiamo intervistato in occasione del festival PagineaColori sul suo albo Lev, edito Gallucci, la storia vera di un tredicenne ebreo che sfuggì alla persecuzione nazista. Quel ragazzino è ancora vivo, leggete cosa ci ha raccontato Barbara di lui…
LA PRIMA COSA CHE PENSI QUANDO TI DICO “LEV”?
Penso alla genesi del libro, che ha una storia molto particolare. Faccio parte di un laboratorio teatrale e ogni 27 gennaio organizziamo spettacoli sul tema della Memoria: durante uno di questi lavori abbiamo raccolto una collezione di storie di figli di persone vittime dell’Olocausto, e una di noi ha raccontato quella di suo suocero, Lev, sfuggito quand’era ancora un ragazzino alla strage nazista. Lui si era tenuto dentro quei ricordi per tutta la vita, e a ottantanove anni un giorno ha deciso di raccontarli alla propria famiglia. Quando ho sentito la storia ho subito chiesto alla mia amica il permesso di farne un libro, e lei ha fatto da tramite per sottoporre il lavoro a Lev, che ora vive in Israele, e farmi avere il suo consenso.
COME HAI REALIZZATO LE ILLUSTRAZIONI?
Ho scelto uno stile completamente diverso da quello per me abituale, mettendomi alla prova pubblicamente con una tecnica sperimentata finora solo privatamente, quella dei miei “disegni dei quaderni”, fatti di getto come schizzi e appunti: ne sono venute fuori tavole senza lavoro a matita, con disegni fatti e colorati direttamente sul foglio. Devo dire che ero molto in ansia soprattutto per il giudizio di Lev quando gli ho sottoposto le prime illustrazioni, e sapere che un signore di novant’anni con quel carico di storia sulle spalle si è commosso vedendo il mio lavoro mi ha davvero emozionato!
IL LIBRO E’ AMBIENTATO IN UN CONTESTO STORICO DI GRANDE DRAMMATICITA’, COME HAI LAVORATO PER RENDERE IL RACCONTO ADATTO AD UN PUBBLICO TANTO GIOVANE?
Sulla storia di Lev la mia amica aveva già elaborato un testo teatrale, che di per sé utilizza un linguaggio adatto alla narrazione: ho riadattato il suo lavoro cercando il giusto equilibrio tra il testo, non troppo lungo, e il racconto attraverso le immagini. Ho scelto di non puntare sulla drammaticità ma di restituire la storia con più semplicità e delicatezza possibili, con quella naturalezza con cui lo stesso Lev l’ha riportata ai suoi cari. Non è stato infatti il Lev anziano a raccontare, ma il bambino ancora dentro di lui, che l’ha vissuta e sigillata così nel proprio cuore per tutta una vita: a rimanere impresso, più che l’orrore della persecuzione, sono stati la perdita del suo adorato album di francobolli, l’abbandono e il ricongiungimento con la famiglia, ed io ho cercato di lavorare su questo registro narrativo.
COSA TI COLPISCE DI PIU’ LEGGENDO IL LIBRO CON I BAMBINI E NELLE SCUOLE?
Il fatto che anche i lettori molto giovani recepiscano bene la storia nonostante il tema “difficile”, e credo che il merito, come dicevo prima, sia della lente narrativa che ho utilizzato, cioè quella di Lev bambino. Raccontare ai bambini attraverso il loro spazio percettivo li aiuta nel processo di immedesimazione nel protagonista e quindi nella comprensione delle sue emozioni: l’attaccamento ad un oggetto o una passione (come quella per i francobolli), la paura legata al distacco dalla propria famiglia sono elementi in cui tutti i bambini possono riconoscersi, molto più – per fortuna! – che nel terrore legato alla morte e alle persecuzioni.