- Cosa ti ha più colpito del racconto di Luca Tortolini?
Come avete lavorato insieme per la realizzazione del libro? Credo che a volte un libro nasca per ragioni di cui neanche l’autore è del tutto consapevole, come se emergesse da un’esigenza collettiva oltre che individuale. Negli ultimi anni molti libri hanno avuto origine da una riflessione sul senso dell’abitare e dell’abitarsi, sulla casa come luogo ritenuto intimo e privato per eccellenza ma che si rivela poi essere un’effimera protezione impermeabile all'esterno. L’urgenza di sviscerare e comprendere ciò che sta accadendo intorno a noi da qualche tempo, in questi giorni di sradicamento forzato e di identità in transito, ha senz’altro costituito una buona ragione per accettare di lavorare al racconto. Ho apprezzato molto la storia che mi ha proposto Luca perché ha un forte potere evocativo e riesce ad invitare a una riflessione pur eludendo fini moraleggianti. Il libro ha avuto una lunga gestazione, dovuta proprio alla priorità di non trasferire nulla su carta prima di aver accantonato una visione superficiale sul tema. Luca ha saputo aspettare, e per questo lo ringrazio.
- I tuoi editori citano grandi maestri come Watteau e Rubens per dare un'idea della bellezza delle tue tavole: ti ritrovi in questa citazione? Quali sono le tue fonti d'ispirazione più amate?
Gran parte del mio lavoro trae le sue fondamenta dall’opera dei grandi autori del passato, a volte neanche troppo remoto. Spunti scovati nei libri, nei film, in qualche esposizione, nella semplice quotidianità, ma anche e soprattutto in internet. La costante sollecitazione sensoriale legata alla moltiplicazione delle informazioni e alla costante condivisione di esse ha generato un nuovo tipo di spettatore, che si imbatte nell’opera altrui durante le sessioni di internet surfing. Io rientro perfettamente in questo stereotipo, ma ho un bisogno persistente di prendere pause dalla convulsa ripetitività delle immagini, dalla perenne moltitudine di suoni e rumori. Disegnare è il mio modo di fermarmi, riflettere e riordinare. È comunque inevitabile che la mia opera sia profondamente influenzata da quello stesso maelström della cultura visiva da cui cerco di prendere una pausa. Ne derivano immagini fatte di appropriazioni, remix, note surreali, a volte contaminate da quell’uso del non sense e dell’ironia che sembra attualmente essere uno dei veicoli più impiegati per tentare il risveglio della coscienza collettiva. Mi piace sempre rendere omaggio agli autori che cito o che alimentano il mio lavoro, nominandoli ogni qual volta me ne venga data la possibilità. La citazione esplicita mi affascina, perché quando la si usa ne deriva un’immagine che assume un nuovo significato rispetto quello di origine, poiché si contestualizza in un ambito socio-culturale differente. La nuova valenza deriva dal rapporto che si crea tra l’“immagine citante” e l’“immagine citata”. Lo scopo vorrebbe essere quello di impiegare il significato originale dell’opera come ulteriore commento alle questioni affrontate dal libro che si sta illustrando o al pensiero che ha generato l’immagine. Questo tipo di procedimento permette di creare un ulteriore canale di comunicazione con il lettore, che è invitato a scoprire il processo creativo che ha generato l’opera. Inoltre, non va dato per scontato che i bambini non siano interessati a conoscere ciò che si nasconde dietro quello che osservano. Le immagini dovrebbero sempre funzionare anche se epurate dai riferimenti: le citazioni creano la possibilità di una doppia lettura: una prima, più istintiva, emozionale, irrazionale, che elude ogni riferimento concreto ma si attiene unicamente al vissuto del lettore e alle sue conoscenze; l’altra, più approfondita e meditata, in cui gli indizi dell’autore sono essenziali, pur senza aver la presunzione di fornire una lettura unilaterale. Posso dire che apprezzo molto la pittura fiamminga, le miniature di epoche e stili diversi, l’arte rinascimentale italiana. Leggo narrativa americana contemporanea; apprezzo la fotografia che sa raccontare la verità, come ad esempio quella di Nan Goldin. Mi affascina lo stile dei poster di propaganda politica nella Russia del Novecento e il cinema d’autore in molte sue sfaccettature. Non guardo molto all’illustrazione contemporanea, ma credo ci siano degli autori eccezionali, come Brecht Evens, Icinori (ovvero Raphael Urwiller e Mayumi Otero) e tanti altri.
- Il tuo è uno stile molto particolare, inconsueto forse da trovare negli albi illustrati per bambini, soprattutto in quelli di "ultima generazione": quali sono gli elementi della tua arte che pensi colpiscano e stimolino di più i giovani lettori?
Credo siano gli elementi che ho descritto nella risposta precedente, uniti a una dedizione personale per la grande capacità narrativa dei dettagli. Ammetto però che spesso, perduta nel mio processo creativo, trascuro la narratività delle immagini nel loro insieme. Curo spesso dettagli marginali a discapito di quelli sostanziali.
- Come ti immagini la lettura del libro in famiglia? Quante porte hai immaginato di far aprire a chi legge, e soprattutto guarda, insieme a loro pagina dopo pagina?
La doppia lettura di cui parlavo in una delle risposte precedenti mi offre un’oasi di libertà, permettendomi di muovermi sul fascinoso e delicato filo delle associazioni libere, dei richiami apparentemente inspiegabili, delle voci inattese dell’inconscio. Credo che sia necessario che un adulto mantenga la propria libertà critica, che coltivi liberamente la propria capacità espressiva, tenendo sempre in considerazione che illustrare non ha semplicemente a che fare con l’abilità tecnica ma neanche con le ossessioni personali. È utopico pensare di acquisire competenze che permettono di legare il nostro mondo a tutti abitanti del pianeta. Può di certo essere utile curare visivamente le proprie immagini secondo le regole della comunicazione visiva, ma è essenziale anche mantenere un’autenticità personale. Nell’illustrazione è importante non dimenticare che illustrare significa mettersi a disposizione di un testo; le immagini dovrebbero arricchire le parole, facendo attenzione a non soffocarle o impoverirle, e viceversa.